giovedì 18 novembre 2010

Il mio viaggio in Egitto - Quarta Giornata

14 maggio

ABU SIMBEL


È l'una del mattino, e le nostre facce la dicono lunga su come avremmo avuto bisogno di dormire ancora un po'. Ma ci aspetta un lungo viaggio in bus, perciò, ci diciamo, ci sarà tempo per riposare ancora. Le nostre valigie vengono portate al nostro mezzo e una volta radunati, salutiamo il personale della nave e partiamo.
Yasser ci aveva spiegato che il luogo dove si trovano oggi i templi di Abu Simbel è una zona militare, al confine col Sudan, e che perciò il nostro bus si dovrà trovare ad una adunata con tutti gli altri bus turistici che devono raggiungere il sito, in modo che la polizia possa scortarci fino là.
È una notte davvero surreale. Sul bus, la maggior parte dei nostri compagni dorme. Dormono un po' anche la mia amica e mio fratello, mentre io davvero non riesco. Mi sento sveglia, pimpante, un po' mi tremano le gambe, e sono decisamente elettrizzata.
Il nostro bus, con le luci interne spente, attraversa assieme ad una lunga coda di suoi simili la zona di Assuan, fino ad uscirne per inoltrarsi nel deserto. E qui, grazie alla fortuna che ho avuto di essere seduta accanto al finestrino, ho l'occasione di ammirare uno degli spettacoli più belli e indelebili della mia vita; il cielo notturno nel deserto. Attorno è tutto buio, i fari del bus illuminano appena le montagnole di roccia e le dune, e sopra la nostra testa c'è un vero e proprio mare di stelle talmente grandi e luminose da lasciare a bocca aperta. Non avevo mai visto, dalla città, un cielo simile, nel quale è possibile scorgere ogni più piccola stella accanto alle sue simili come uno spruzzo argenteo, dove si possono distinguere chiaramente le costellazioni, il Grande Carro, eccetera... Da togliere il fiato. Ora capisco come mai gli egizi credevano che le stelle fossero le anime dei resuscitati!
Il nostro viaggio dura tre ore o poco più. Attorno alle cinque e mezza comincia a levarsi il sole, e da qui, il secondo spettacolo più bello, ossia l'alba nel deserto, qualcosa di sublime e indimenticabile, che ci accompagna nell'ultimo tratto, coi suoi colori rosei e dorati. Riusciamo a scattare qualche fotografia, e adesso tutti sono svegli, e guardano fuori ammutoliti e ammirati. Con le prime luci, ammiriamo la cittadina odierna di Abu Simbel, una contrada ancora deserta per via dell'ora acerba, con numerosi punti di ritrovo, ovviamente turistici, come bar e tavole calde. La maggior parte di questi luoghi ha i nomi delle persone della famiglia di Ramses: c'è il Bar Queen Tuya, e persino il Cafè Nefertari!
Scendiamo dal bus, e l'aria è fresca e il clima bellissimo; attendiamo un po' per entrare nel sito, il quale, contrariamente agli altri, non si vede dall'ingresso, perchè dista un bel po' dal punto di accesso all'area archeologica, nella quale c'è il bar e tutti i negozi di suovenirs.
Ci fermiamo a parlare con Yasser. Diego, uno dei nostri compagni di viaggio che ha stretto un rapporto quasi d'amicizia con la nostra guida, sta facendo delle battute sulla durata del viaggio in bus. "Yasser, ma 'sto tempio lo hanno smontato da dove era prima, vero?". Yasser annuisce. "Ecco, già che c'erano, potevano rimontarlo al Cairo, tanto è lì che stiamo andando, così ci evitavano tutta questa strada!". Yasser ride, poi lo guarda con espressione furba, "Diego, credimi, Abu Simbel vale non una, ma tre volte tutta questa strada".
E anche se non l'ho ancora davanti dal vivo, io so perfettamente che ha ragione.
Finalmente, abbiamo il nostro biglietto, e possiamo entrare. Yasser ci avvisa di tenere il passo, perchè la camminata è lunga. Seguiamo un sentiero bianco, che si dirige in mezzo all'area desertica color ocra rossa, leggermente in salita. Durante questa strada, ogni tanto faccio dei video, sperando sempre di veder comparire all'improvviso i templi, ma era counque sempre troppo presto, perciò ci facciamo tante risate. Quando infine arriviamo, capisco che questo percorso è studiato alla perfezione per rendere più spettacolare la prima visione dei templi stessi, soprattutto del tempio maggiore, perchè compare dal nulla, si vede la montagna rossa, ma di lato, e man mano che il sentiero gira, ecco apparire la facciata, e sui volti di tutti compare quel tipico sorriso tra il meravigliato e il divertito, che sembra dire "oh accidenti".
Subito scattiamo le prime foto e facciamo dei brevi video.
Alla nostra sinistra c'è il tempio grande in tutta la sua avvincente maestosità, mentre in lontananza a destra si scorge il tempio piccolo. I gruppi di turisti già si radunano in capannelli per ascoltare la spiegazione della rispettiva guida, e anche noi facciamo lo stesso, fermandoci a svariati metri di fronte al tempio grende, dove Yasser ci racconta tutta la storia dei due monumenti, aiutandosi con fotografie dell'interno, in modo da illustrarci tutte le scene che vedremo quando ci lascerà vagare soli per il sito. Infatti, dentro i due templi è vietato scattare fotografie, esattamente come dentro le tombe della Valle dei Re.
Alla fine della spiegazione, Yasser ci comunica che abbiamo a mala pena un'ora e mezza per visitare i due templi, perchè alla fine di questa visita ci aspetta l'aereo per Il Cairo, e non possiamo permetterci di far tardi. Che paradosso, tre ore e mezza di viaggio e solo poco più di un'ora per goderci questa meraviglia assoluta dell'arte e dell'achitettura egizia! Questa è la prima volta che mi arrabbio da quando sono in Egitto, e mi piglia anche una fretta smodata; farò in tempo a vedere ogni angolo di questo posto e a ricordarmelo in futuro?
Foto di gruppo davanti alla facciata, e poi via per conto nostro.

IL TEMPIO GRANDE


In pochi momenti dobbiamo decidere come organizzare la nostra personale visita.
Ci dedichiamo per prima cosa al tempio grande. Essere tra le due gigantesche statue di Ramses scolpite nella pietra che fiancheggiano l'ingresso è mozzafiato. Puoi solo tirar su la testa e fare delle fotografie, anche se sai non renderanno mai l'idea di ciò che significa vederlo coi propri occhi.
All'interno non è possibile fotografare, perchè i flash possono a lungo andare deteriorare gli splendidi affreschi colorati di cui entrambi i templi sono completamente ornati.
Sono circa le sette del mattino, e la luce penetra fiocamente dal portale d'ingresso, lasciando gli ambienti in una penombra progressiva che si acutizza man mano che si va verso l'interno del tempio rupestre, il cui naos è illuminato da luci a neon giallastre.
Per riuscire a non perderci un particolare delle bellissime scene scolpite a bassorilievo sulla roccia e colorate in bianco, nero, giallo, blu e rosso, facciamo il giro del primo atrio in senso orario, fiancheggiando le pareti. Qui è la prima volta che ci fermiamo meravigliati. Ho visto molte volte questo rilievo nei tanti libri di egittologia che possiedo, ma l'impatto visivo che dà dal vivo è qualcosa di eccezionale. La scena mostra Ramses che, con una lancia in mano, abbatte un nemico e ne calpesta un altro sotto i suoi piedi; l'opera d'arte è enorme come non l'avrei immaginata, dinamica come una fotografia, e occupa il registro centrale di questa parete altissima. Sembrerà sciocco dire ancora di essere rimasti senza fiato, ma a costo di essere ripetitiva, è esattamente questa la sensazione che si prova. Ogni scena, ma soprattutto questa, sembra essere stata intrappolata nella roccia mentre era in svolgimento, quasi fosse viva e in perpetua esecuzione. La figura del re, sia qui che nelle altre immagini, è armoniosa e potente, e riesce ad incutere rispetto e grazia allo stesso tempo.
Continuiamo il nostro giro del primo atrio, e ammiriamo le scene d'offerta agli dèi; in molte di esse Ramses è accompagnato da Nefertari, la quale, dietro di lui, compie gesti rituali o protende la mano in direzione del marito in segno di protezione. Mi dedicherò tra poco a spendere alcune parole per il gusto artistico che permea la raffigurazione della regina.
Nella parete di destra, mi fermo. Ricordo che pochi dei visitatori dentro il tempio si soffermano da questa parte, forse perchè i rilievi sono fitti e caotici e in parte il colore è andato perduto, ma credo soprattutto perchè in pochi sanno cosa rappresentano. Anche mio fratello si accosta per chiedermi conferma e sì, questa è la raffigurazione che accompagna nei templi tebani il Poema di Pentaur, ossia il resonconto dettagliato ed epico della Battaglia di Qadesh. Ogni scena rappresenta un atto dello scontro fra l'esercito di Ramses e quello di Mowattali, re degli ittiti, avvenuto nel 5° anno del regno del faraone (1274 a.C.). Ad uno sguardo attento e consapevole, questa intera parete a più registri è come la pellicola di un film che si srotola davanti agli occhi dei visitatori; ogni rilievo è accompagnato da una didascalia che illustra cosa succede, come in un fumetto. Di alcuni personaggi c'è addirittura l'indicazione delle parole che sono state da loro pronunciate, esattamente come in un manga giapponese. I particolari che ho meglio distinto in questo quadro storico memorabile inciso per sempre nella roccia sono le due spie catturate dall'esercito egiziano, le quali fornirono errate informazioni sulla posizione dell'esercito ittita, rischiando di far perdere la battaglia agli egiziani, la raffigurazione della cittadella fortificata di Qadesh, circondata dal fiume Oronte, caposaldo ittita, la tenda di Ramses dentro l'accampamento egizio circondato da scudi, e nel quale i soldati sono intenti alle attività quotidiane mentre parte l'attacco ittita a sorpresa. E poi i soldati egizi in schieramento, la guardia reale sharder (antichi sardi) coi loro caratteristici elmi, l'indicazione del numero di soldati per ogni armata, compreso l'esercito nemico. Infine lo scontro, col caotico miscuglio di carri e persone rovesciate nel fiume, e Ramses in piedi sul carro mentre, solitario, scaglia frecce contro gli ittiti. Questo rilievo riscuote poco successo agli occhi di un turista comune, al contrario della bellezza e del valore artisitco dell'opera che la fronteggia nella parete opposta, ma ha un valore incommensurabile dal punto di vista storico e letterario, consegnandoci uno spaccato di vissuto che non ha eguali nella storia antica. Non per niente, la Battaglia di Qadesh è lo scontro antico più documentato al mondo.
Al termine del primo giro, entriamo nei magazzini laterali di sinistra. Si tratta di due stanze oblunghe, atte a contenere le offerte per il tempio. Lo dimostrano le scene parietali con tavole imbandite di cibo offerto alla divinità e gli altari che corrono tutto attorno alle pareti, come uno zoccolo. All'uscita si ha quasi difficoltà ad orientarsi, finchè non ci si ritrova nel primo atrio e da lì entriamo nei magazzini di destra, che scopriamo essere esattamente identici e speculari a quelli dell'altro lato.
Prendiamo così l'ingresso centrale e ci trovaiamo nel secondo atrio, retto da quattro pilastri quadrangolari, sui quali il faraone viene benedetto e abbracciato da varie divinità. Rifacciamo il giro in senso orario, e scopriamo che la sala è dedicata alle offerte che il faraone compie nei rilievi alle divinità dell'Egitto. Sulla parete destra c'è la barca sacra di Amon che è portata in processione dai sacerdoti, finchè giunge di fronte a Ramses e Nefertari; lui gli offre incenso su di un bruciatore, lei scuote i sistri in segno di benedizione. Anche questa scena è molto vivida, mentre il bianco puro dello sfondo dipinto, conservato decisamente meglio che nella precedente sala, esalta le figure in bassorilievo.
Ci soffermiamo poco nel vestibolo, anch'esso ornato da scene di offerta e comunione con gli dèi, e quindi stazioniamo davanti al naos, una piccola stanza chiusa da una transenna, nella quale sono scolpite quasi a grandezza naturale le figure di Ra-Harakti, Ramses, Amon e Ptah-Taten, tutti seduti l'uno accanto all'altro. Qui, ogni anno per due volte, si ripete il fenomeno per cui al sorgere del sole, i raggi penetrano dalla porta del tempio, attraversano tutta la lunghezza e arrivano ad illuminare il volto della statua del re seduto fra gli dèi. Gli egiziani odierni chiamano questo spettacolo, che si ripete nonostante l'innalzamento dei templi a causa del salvataggio, "la festa del sole". Yasser ci racconta che in questi due giorni, a settembre e a febbraio (verosimilmente anniversari di incoronazione e compleanno di Ramses) è festa ad Abu Simbel. L'aeroporto è chiuso, nessuno lavora, ma la gente arriva due giorni prima ed è permesso accamparsi coi sacchi a pelo davanti ai templi per aspettare l'alba del giorno della festa e godere di uno spettacolo di ingenieria e calcolo astronomico e architettonico davvero unico al mondo.

IL TEMPIO PICCOLO

Uno sguardo all'orologio con un pizzico d'ansia. Purtroppo dobbiamo uscire dal tempio grande se non vogliamo rischiare di mancare la visita a quello piccolo!
Attraversiamo l'ampio spiazzo che li separa a passo svelto, e finalmente eccoci di fronte alla facciata per qualche foto. Anche qui è vietato fotografare all'interno, così ci scateniamo un po' fuori, senza però perderci la meraviglia di quest'altra opera d'arte. Il primo impatto che si ha del tempio piccolo è veramente differente da quello che si ha nel contemplare quello grande, e questo è innegabile. Personalmente ho percepito il tempio grande come monumentale e imponente, atto a mostrare alla Nubia la potenza e la grandezza della monarchia egizia, quale era in effetti il fine della costruzione di quest'opera. Se ho parlato di "monarchia" e non di "Ramses" c'è un motivo preciso; non appartengo assolutamente alla scuola di pensiero che vuole che il re si fosse stancato di onorare gli dèi e volesse qui onorare se stesso quale dio in terra. È evidente a chiunque conosca la civiltà egizia, il periodo storico ramesside e sappia entrare nella mentalità egizia che non era questo l'intento di Ramses, così come di qualsiasi altro faraone. Per gli antichi egizi non era infatti sacro l'uomo che era faraone, ma l'istituzione faraonica (come per noi è importante la carica di Presidente della Repubblica e non l'uomo che la riveste). Se Ramses avesse voluto deificare se stesso, cosa che poi ha comunque fatto la sua diretta posterità in riferimento al suo personale successo in quanto re, e tralasciare gli altri dèi, il tempio grande non sarebbe così zeppo di scene di offerta e di comunione con essi. Inoltre, se leggiamo i geroglifici del naos, la divinità seduta fra gli dèi è "Ramses", ma scritto in caratteri semplici e non dentro cartiglio, questo per me basta a dimostrare come fosse questo un modo di indicare il faraone simbolico (essendo Ramses il nome proprio del faraone in quel momento regnante) e non User-maat-Ra scritto dentro il cartiglio, che indica invece proprio quello specifico re senza possibilità di errore, cioè Ramses II. Il nome Ramses significa inoltre "generato da Ra" ossia "figlio di Ra" epiteto proprio di qualsiasi faraone dalla V dinastia, e quindi quasi impersonale.
Fatta questa precisazione, il tempio piccolo ha un caratere totalmente diverso ai miei occhi, e penso che anche per chi ha avuto il piacere di visitarlo è stato lo stesso. È delizioso, intimo, la stessa facciata ha un carattere dolce e quasi privato. Ci sono sei statue in piedi, in posizione incedente, e sta qui l'eccezionalità: due di esse rappresentano Nefertari, della stessa statura di quella di Ramses. Una cosa simile fece più anticamente Amenofi III per la moglie in una statua monumentale che si trova ora nella sala della scultura del Museo del Cairo, e molte cappelle sono state dedicate dai faraoni alle proprie spose e regine, alcune delle quali sono anche state faraoni e si sono costruite templi (come Hatshepsut), ma mai un tempio è stato dedicato dal re alla sua sposa mentre entrambi erano in vita.
Nefertari, incoronata dalle due alte piume e dal disco solare, è presente due volte specularmente a destra e a sinistra, nel mezzo fra le due statue del marito, quasi a simboleggiare un continuo accompagnare del re nei confronti della regina. Non solo, il carattere intimo e familiare del tempio è esaltato dalla presenza di statue minori fra le gambe dei coniugi. Mentre nel tempio grande sono raffigurati in piccolo i membri della famiglia estesa del sovrano (figli di spose secondarie, oltre che Nefertari e la madre Tuya), qui nel tempio piccolo sono rappresentati con loro solo i figli di Ramses e Nefertari, a formare il nucleo familiare principale del re. Nonostante la statua che rappresenta Nefertari alla nostra sinistra sia sfigurata, quella di destra mantiene intatta tutta la dolcezza dei tratti di questa donna dalla leggendaria bellezza.
Il fatto che il tempio fosse un dono d'amore per la sposa è evidente dalla dedica incisa in geroglifici priprio su questa facciata semplice e armoniosa:
User-Maat-Ra Ramses, egli ha costruito un tempio scavato nella montagna, opera eterna per la grande sposa reale Nefertari Meritmut, nella Nubia, per sempre e in eterno. Nefertari, per amore della quale il sole splende.
Se la poesia di tali parole può passare inosservata ai più disincantati o a chi non sa leggere il geroglifico, di certo non avrà fatto lo stesso l'aspetto riservato e luminoso dell'interno del tempio.
Appena entriamo ci colpisce subito il bianco che fa sfondo alle decorazioni e che le rende ancora più eleganti e deliziose. Più tardi, scambiando pareri con la mia amica, abbiamo scoperto di aver amato entrambe molto la visita al tempio piccolo, quasi più di quella al tempio grande.
Ripensandoci, ho colto profondamente la differenza fra i due, come se il tempio grande rappresentasse la regalità, la potenza, il fasto della vita di Ramses, e quindi l'aspetto esteriore e monarchico, mentre il tempio piccolo fosse simbolo della vita privata e familiare del re e della regina, a carattere meno sensazionale e impressionante, ma affascinante sotto altri punti di vista, uno dei quali è quello religioso.
Il tempio piccolo è ovviamente dominato da Nefertari, per la quale fu costruito e decorato. La sua figura esile e slanciata è scolpita e dipinta in quasi tutte le scene, e anche quelle in cui troviamo Ramses, lei è sempre al suo fianco. La maggior parte delle scene riguarda offerte alle divinità, in particolar modo ad Hathor, dea della bellezza e dell'amore, alla quale il sito di Abu Simbel era anticamente dedicato, particolare che ci indica come forse la scelta del luogo nel quale costruire questi due "templi coniugi" non fosse casuale.
È inutile dire che la figura di Nefertari ci ha ammaliati. Sulle pareti della sala a tre navate e dei pilastri ella offre fiori, scuote i sistri, si pone a protezione dietro del marito, a volte con parrucche corte, altre lunghe, sempre con la corona ad alte piume e vestita di ampie tuniche trasparenti, è sempre elegantissima ed effimera. Mentre la si contempla, è sacrosanto chiedersi se fosse davvero splendida come l'artista abilissimo l'ha saputa riprodurre o se egli abbia fatto del suo meglio per rappresentarla con gli occhi dell'amore attraverso i quali il re la vedeva. O magari entrambe le cose, fatto sta che il risultato è stupefacente. Come per i rilievi dinamici che emanano l'energia e l'evidente forza fisica di Ramses nel tempio grande, anche qui Nefertari sembra essere stata intrappolata della roccia, impegnata nei gesti rituali della sua funzione di regina d'Egitto, per sempre. Camminando piano e gustandoci ogni rappresentazione, arriviamo nel vestibolo trasversale, e senza nemmeno rendermene conto mi trovo davanti al più bel rilievo del sito di Abu Simbel, che rivaleggia in tutto e per tutto con quello dell'abbattimento dei due nemici nel tempio grande.
Qui, Nefertari, al centro della grande raffigurazione, esile e ferma in una posa composta, si interpone fra le dee Hathor e Iside che la incoronano contemporaneamente, così come fanno Horus e Seth con Ramses su un'altra parete. Il rilievo con Nefertari e le dee è unico nel suo genere e nella storia, e assurge la regina ad altissimi onori perchè la analoga al faraone.
Oltre all'importanza di ciò che l'opera rappresenta, sconosciuta ai comuni turisti, essa colpisce ugualmente in modo impressionante chiunque vi si trovi davanti. Non sono l'unica ad essere rimasta ferma davanti alla parete, quasi ipnotizzata, dall'altissima qualità artistica del rilievo, dalla sua purezza e dal suo senso, in un modo davvero singolare.
Finito il lungo giro del tempio piccolo, e con gli occhi ancora luccicanti, scopriamo che ci restano ancora 10 minuti per fare un'altra visitina veloce al tempio grande prima di andar via. Perciò rientriamo, e io cerco di marcare ogni immagine nella mia mente. Purtroppo, è tempo di andare via... Sono davvero dispiaciuta, avrei voluto rimanere là per tutta la giornata, non si può? No, ormai anche i nostri compagni imboccano il sentiero che ci riporta fuori dal sito, e facciamo a malincuore lo stesso. Il Cairo ci aspetta!!

TO BE CONTINUED...

venerdì 15 ottobre 2010

Elenco dei Volumi della mia biblioteca personale

Qualcuno mi ha chiesto di pubblicare la lista completa dei libri della mia biblioteca personale, così eccola qui. ^_^ Ovviamente è in continuo aggiornamento!

Vol 1
Kheops - L'inferno del Giudice Christian Jacq Mondadori
Vol 2 Kheops- Il testamento degli dèi Christian Jacq Mondadori
Vol 3 Kheops - Il ladro di Ombre Christian Jacq Mondadori
Vol 4 Il grande romanzo di Ramses (edizione che comprende i 5 volumi) Christian Jacq Mondadori
Vol 5 I segreti dell'Antico Egitto a cura di Christian Jacq Mondadori
Vol 6 I Misteri di Osiride - L'albero della vita Christian Jacq Corriere della Sera
Vol 7 I Misteri di Osiride - La cospirazione del male Christian Jacq Corriere della Sera
Vol 8 I Misteri di Osiride - Il cammino di fuoco Christian Jacq Corriere della Sera
Vol 9 I Misteri di Osiride - Il grande segreto Christian Jacq Corriere della Sera
Vol 10 Antico Egitto Maria Cristina Guidotti - Valeria Cortese Giunti
vol 11 Luxor e la Valle dei Re Alessandro Bongioanni Mondadori
vol 12 Abu Simbel, Assuan e i templi nubiani Marco Zecchi Mondadori
vol 13 Ramses II, il grande faraone T.G.H. James Mondadori
vol 14 Il Segreto di Sirio Murry Hope Mandala
vol 15 Favole, Miti e leggende dell'Antico Egitto a cura di Emma Brunner-Traut Newton & Compton Edizioni
vol 16 Favole e racconti dell'Egitto Faraonico a cura di Aldo Troisi Fabbri Editori
vol 17 Alla scoperta della Tomba di Tuthankamon H.V.F. Winstone Grandi Tascabili Economici Newton
vol 18 La città dei morti Anton Gill Giallo Mondadori
vol 19 Il faraone trionfante: Ramses II e il suo tempo Kenneth A. Kitchen Corriere della Sera
vol 20 Alla scoperta dell'Antico Egitto Brian Fagan Grandi Tascabili Economici Newton
vol 21 La vita nell'Antico Egitto Dominique Valbelle Xenia Tascabili
vol 22 Le donne dei faraoni Christian Jacq Mondadori
vol 23 Tebe - Centri e Monumenti dell'Antichità Sergio Donadoni Electa
vol 24 Antico Egitto Sophie Desplancques Newton Compton Editori
vol 25 La Regina Libertà - L'impero delle tenebre Christian Jacq Corriere della Sera
vol 26 La Regina Libertà - La guerra delle corone Christian Jacq Corriere della Sera
vol 27 La Regina Libertà - La spada di luce Christian Jacq Corriere della Sera
vol 28 Gli obelischi egizi- I grattacieli dell'Antichità Labib Habachi Grandi Tascabili Economici Newton
vol 29 Ramsete II - Figlio del Sole Christiane Desroches Noblecourt Sperling Paperback
vol 30 Faraoni volume enciclopedico Demetra
vol 31 La Valle dei Re Christian Jacq Mondadori
vol 32 Conoscere l'Antico Egitto Christian Jacq Mondadori

Rassegna Libri - Parte 3

E' giunto il momento di recensire altri due libri dedicati all'Antico Egitto. La mia biblioteca personale si sta arricchendo, il che mi rende molto felice, anche se fra poco lo scaffale sarà pieno e dovrò trovare un'altra mensola su cui sistemare i miei libri! :D


Oggi comincerei da Ramses II, il grande faraone di T.G.H. James (vol 13 della mia biblioteca personale).
Qualcuno spieghi a Mr. James che l'istituzione faraonica non era una gara a chi faceva monumenti più grandi.
Dopo aver letto questo libro, davvero notevole in quanto ad impostazione grafica, qualità della carta e delle immagini, è questo ciò che ho pensato.
Il volume è strutturato in modo classico, così da ripercorrere l'excursus storico da Amarna alla dinastia ramesside, con un lungo capitolo dedicato alla battaglia di Qadesh, e infine un'appendice limitata alla sola area tebana per quanto riguarda i monumenti lasciati da Ramses II.
Ma partiamo dall'inizio. L'autore spende molto tempo nel ribadire fermamente che non ci si può lasciar andare a giudizi personali dei fatti storici senza aver valutato possibilmente più di una fonte, ma poi, nel corso del testo, si lancia a sua volta in affermazioni che spesso non sono sostenute da nessuna fonte, anzi, vanno addirittura contro ciò che affermano le stesse fonti egizie. Il fatto che queste ultime fossero colorite, non significa a mio avviso che la realtà fosse completamente contraria. Se la fonte egizia dice che il gatto era nero, per fare un esempio stupido, che diritto ho io di dire che era assolutamente bianco, piuttosto che supporre che magari fosse grigio scuro o solamente grigio?
Un'altra pecca è quella che purtroppo la lettura è inutile a chi ha già delle conoscenze egittologiche di base, perchè non dà particolari nè notizie nuove, ma si limita a ricapitolare i fatti già noti, e senza nemmeno un minimo di brio, anzi in modo anche piuttosto noioso e scolastico. Completamente privo di passione.
Testi e didascalie presentano vari errori; pagina 78 afferma che Uri-Teshup salì al trono col nome di Mursili II, mentre fu il III imperatore ittita con questo nome, e tutto ciò genera incomprensione durante la lettura del paragrafo. In alcune didascalie, inoltre, il disco solare che incorona Iside viene scambiato con un fantomatico "disco lunare"...
Ho notato un atteggiamento di supponenza molto forte da parte dell'autore, che quasi pretende di conoscere meglio degli stessi egizi e ittiti le ragioni della crisi economica ittita del 1240 a.C, andando di nuovo contro le fonti sia dell'uno che dell'altro popolo! Oltre questo, in generale il testo è zeppo di affermazioni arbitrarie, dettate dal pensiero e dal giudizio personale dell'autore e spacciare per veritiere, senza cioè citare il fatto che si tratta di un'idea personale e non comune. Tutto questo è contraddittorio con quanto afferma lo stesso James nella sua introduzione sopra citata.
Altri lati negativi, le descrizioni dei templi forniscono particolari scarsi o nulli, con la particolare tendenza iniziale a denigrare velatamente tutto ciò che fu costruito dagli artisti di Ramses attraverso l'esaltazione della bellezza dei monumenti di Sethi I, per esempio, (espediente che attuano le teen-ager per denigrare il rivale del loro idolo preferito). Fortunatamente l'autore si riprende dalla defaiance nella parte finale, in cui dà credito all'abilità degli scultori nel riprodurre il volto del faraone, un particolare che appare innegabile anche all'occhio di un profano che si sia mai trovato davanti al colosso di Mit-Rahine, per fare un esempio, o a quello assiso del tempio di Luxor.
C'è infine un eccessivo criticismo verso la pratica della sovrascrizione dei cartigli sulle statue di altri faraoni, proprio come se questi fossero in gara e non fosse concessa una tale nefandezza... È ridicolo applicare tali criteri di giudizio che appartengono alla nostra mentalità moderna alla civiltà e alla filosofia egizia, la quale vuole che il faraone sia uno e perpetuo, incarnato da molti uomini, ma pur sempre Faraone. I re egizi apponevano i loro nomi sulle statue e sui monumenti di altri per perpetuare e attualizzare anno dopo anno, regno dopo regno, la continuità dell'istituzione che incarnavano, e non per fare un bel dispetto all'antenato!
Un'altra cosa che, non nascondo, mi ha dato fastidio, è l'uso della parola "manomettere" anzichè "restaurare" quando si parla di Khaemwaset e della sua opera di salvaguardia dei monumenti dell'Antico Regno che stavano cadendo in rovina, quasi che il principe, figlio di Ramses, se ne andasse allegramente in giro a "manomettere" le piramidi tanto per il gusto di farlo! Siamo seri... Inoltre, non credo proprio che a Ramses sia venuto in mente di costruire il Ramesseo tanto grande per superare in altezza i Colossi di Memnone! Affermazioni quali "è verosimile (!!! --- ???? Verosimile???!!) Che egli (Ramses) abbia progettato il proprio tempio per rivaleggiare, se non per surclassare, (O__O) la struttura più antica: in tal modo, Ramses avrebbe avuto almeno una grande statua che superasse in altezza i voluminosi colossi di quarzite che ancora aggi dominano la pianura alluvionale" sono, a mio avviso, assolutamente ridicole. Sul serio, non si può leggere una cosa tanto sciocca, quasi che il re fosse un bambino che voleva il giocattolo più grande e più bello dell'amichetto... Ma per favore!
Ramses II aveva a modello Amenofi IV, per questo progettava i suoi edifici in scala così grande, perchè questo era un elemento che poteva accomunarlo al suo predecessore, e non metterlo in gara con esso. Ci sono numerosissimi elementi architettonici e particolari che accomunano i due sovrani, con una chiara ispirazione del più giovane verso il più antico, senza rivalità.
Detto questo, le immagini del libro sono comunque belle e molto grandi, ma non valgono la sufficienza all'insieme, noioso e pesante nonostante l'argomento fosse di gran lunga ciò che preferisco leggere.

(Voto 5.5)


A cura di Christian Jacq - I SEGRETI DELL'ANTICO EGITTO interpretati da Jean-Françoise Champollion (volume 5), è un libro che acquistai negli anni Novanta e che ho letto solo qualche mese fa. La sua struttura è molto interessante. Vengono infatti analizzati gli scritti originali di Champollion, tratti dalle diverse opere che il padre dell'egittologia scrisse e dalle lettere che inviò al fratello mentre era in viaggio in Egitto con la spedizione franco-toscana. Ogni testo tratta un argomento specifico della civiltà faraonica, evidenziando aspetti simbolici che Champollion aveva colto con genialità accedendo per primo ai geroglifici che era riuscito a decifrare. Ogni testo è scelto e commentato da Christian Jacq, il quale offre, quando necessario, una chiara delucidazione, rendendo gli argomenti trattati veramente accessibili a chiunque, sia a chi è desideroso di approfondire le proprie conoscenze egittologiche, sia a chi si avvicina per la prima volta a questo universo. Il libro inoltre può essere "messo in standby" e poi ripreso senza perdere mai il filo del discorso proprio grazie alla sua struttura. Consigliatissimo.

(Voto 7.5)

martedì 12 ottobre 2010

Il mio viaggio in Egitto - Terza Giornata

13 maggio

LA CAVA DI GRANITO DI ASSUAN

Ancora storditi dai bagordi della serata egiziana, dal poco sonno e dal buonissimo cibo dei cuochi della Queen Isis, ci svegliamo ore prima dell'alba per raggiungere la Cava di Granito Rosa di Assuan, dove siamo giunti navigando tutta la sera precedente. Il sole è sorto da poco quando la raggiungiamo col bus, ma oramai ci siamo abituati ad arrivare sui siti archeologici alle prime luci, e nonostante ciò i colori che ci accolgono sono per me sempre qualcosa di incredibile... Qui ci attende una bella scalata lungo le pareti rocciose dove gli antichi estraevano il materiale per le statue e per gli obelischi (una delle tante cave sparse in tutto l'Egitto, sia chiaro). Assuan è rinomata per il granito, ce n'è ovunque, rosa e nero, e gli odierni venditori hanno pure le statuine souvenir fatte in queta bellissima pietra.
All'entrata della cava, sono già emozionata; la montagna è alta e imponente, tutta rosata sotto i colori dorati e pallidi del sole acerbo, come al solito non so se scattare delle foto o godermi il momento e basta. Sul percorso per arrivare fino in cima e poi ridiscendere è stata creata una passerella di legno e a volte dei gradini ricavati dallo stesso granito per rendere la visita più agevole ai turisti, eppure c'è chi si lamenta del luogo troppo ripido, e di come sia pericoloso salire così in alto senza nessun parapetto. A me non importa. Sono fortunatamente sempre stata molto agile e in alcuni punti salgo anche senza seguire il percorso troppo affollato, di poco al lato, sulla roccia stessa. D'altra parte, gli antichi non avevano le rampe, e salivano così, senza i nostri scarponcini antiscivolo! Se riuscivano loro, perchè non dovrei riuscirci io?
Yasser ci ferma grossomodo a metà del tragitto per spiegarci come venivano estratti gli obelischi e per mostrarci quello incompiuto di Hatshepsut, ancora in loco, abbandonato a causa di una crepa che lo ha quasi spezzato in due durante la fase di estrazione. È davvero affascinante vedere come gli antichi riuscivano a levigare questa pietra durissima, a renderla assolutamente piana e liscia. Continuando la scalata e poi la discesa dal lato opposto, riesco a vedere anche i segni di altre estrazioni, i piccoli solchi paralleli che lascia lo scalpello quando un pezzo di granito viene completamente staccato lasciando un vuoto nella montanga. Mi fermo a fotografare da vicino la bellezza del granito locale, è davvero splendido, e come luccica, con tutti i suoi spruzzi neri su sfondo rosa! Questo luogo è magico, dà una netta sensazione di possanza e di eterno. Incommensurabile!
A malincuore, dopo aver posato i nostri piedi (o quasi) sul cammino degli antichi scalpellini reali, torniamo ai pulman, e qui rischiamo di perderci di nuovo se non fosse stato per uno dei nostri che ci viene a recuparare. Nel parcheggio, infatti, ci sono decine e decine di bus tutti simili, e il nostro, che era il più vicino all'uscita, ci è proprio sfuggito!

LA DIGA DI ASSUAN

In questa ennesima mattinata surreale alla scoperta della magnifica regione di Assuan, lasciamo per un attimo l'archeologia per visitare un "capolavoro" di urbanistica ed ingenieria moderno, la Diga di Assuan, che fu terminata all'inizio degli anni '70 e che ha permesso lo sfruttamento agricolo di una vastissima zona che in antichità, con le normali piene del Nilo non era possibile rendere fertile. La costruzione della diga, con la conseguente formazione dell'immenso Lago Nasser, ha però minacciato la sopravvivenza di una moltitudine di siti archeologici dalla zona di Assuan in giù, fino alla Nubia, siti che sono fortunatamente stati messi in salvo dall'UNESCO grazie a progetti di spostamento e rimontaggio in zone sicure.
Non mi intendo di ingenieria, quindi non starò a spiegare come funziona la diga nei dettagli, ma alcuni particolari mi hanno colpita, come ad esempio il fatto che per costruirla siano state impiegate grossomodo le stesse quantità di materiale che sono servite anticamente per erigere le piramidi di Giza, e che, come ci ha spiegato Yasser, se la diga dovesse mai cedere, tanta è l'acqua imprigionata, si creerebbe una inondazione tale da innalzare il livello del Mediterraneo con la conseguente scomparsa dell'Egitto da Assuan a nord e di parte della Grecia!
Facciamo qualche foto dal parapetto. Questa zona del Nilo è famosa per ospitare esemplari di coccodrillo che raramente si possono più scorgere nelle altre zone dell'Egitto. Alle nostre spalle, su un'isoletta, si intravede un piccolo tempio, a occhio e croce di età tolemaica (a giudicare dall'ottima conservazione del pilone). Purtroppo non ho chiesto di che tempio di tratti, ma potrebbe anche essere una costruzione faraonica ricostruita dal suddetto salvataggio.
Dopo la piacevole passeggiata, rimontiamo quindi in bus; direzione il tempio di Philae...

IL TEMPIO DI PHILAE

Per raggiungere questo sito, dobbiamo prendere la graziosa barca a motore, e attraversare una piccola porzione del Lago Nasser. Durante questa navigazione, non posso esimermi dal mettermi in piedi, assieme ad alcuni degli uomini del nostro gruppo e, come loro, fare un lungo video del paesaggio, coi piloni del tempio che si avvicinano sempre di più.
In antichità, questo tempio sorgeva su un'isola (quella di Philae, appunto), ma a causa della costruzione della diga, fu smontato e rimontato completamente su un'altra isola poco distante e più in alto, quella di Agilkia, mentre Philae veniva sommersa dal Lago.
Il paesaggio è incantevole. Yasser ci fa notare il tipo di roccia che sorge dalle acque del Lago, assimilabile in tutto e per tutto alle rocce della Sardegna, ed effettivamente ha ragione. Tra l'altro, la superficie dell'acqua è blu e luccicante, sembra proprio il mare! Ma ecco che ci appropinquiamo al tempio, siamo sotto i suoi piloni. Sono ansiosa di visitare questo tempio, ma anche un poco malinconica. Ho letto un romanzo a riguardo, Pour Amour de Philae, davvero straziante, che rievoca l'ultimo respiro della civiltà egizia. Dedicato alla dea Iside, questo è infatti l'ultimo santuario egizio pagano ad essere rimasto in attività fino alla sua tragica chiusura, per fare spazio al culto cristiano-copto.
Fu costruito in epoca tolemaica, e lo stato di conservazione, nonostante lo spostamento, è notevolissimo. Veniamo accolti in una lunga corte, colonnata sui due lati, fino ad una rampa di gradini che passa fra due statue di leoni accucciati sui quarti posteriori a guardia dell'ingresso, e poi dritti fino al cuore del santuario, illuminato dai neon. Il tempio infatti conserva bene tutti i soffitti, e si riesce a cogliere bene la sensazione di essere dentro un luogo di culto, in penombra, totalmente decorato di rilievi e geroglifici, anche se le tracce di colore sono purtroppo scomparse completamente a causa soprattutto delle inondazioni alle quali era soggetto il sito quando si trovava ancora a Philae e venne eretta la prima Diga di Assuan, che precedette quella moderna attuale.
Ci fermiamo come al solito a scattare alcune foto, soprattutto al Chiosco di Traiano, splendida opera architettonica, e poi torniamo alla barca, che ci riporta al bus e quindi alla Queen Isis. Questa è l'ultima sera della nostra crociera, il giorno successivo dormiremo al Cairo.

IL GIARDINO BOTANICO DI ASSUAN

L'unica visita pomeridiana del mio programma prevede una bella passeggiata al giardino botanico di Assuan, creato da Kitchener, console generale d'Egitto, che lo ha popolato di numerosissime specie di piante e alberi da ogni luogo, capaci di vivere al clima caldo e secco della regione. Il posto è veramente stupendo. All'ora della nostra visita, non c'era tanta gente, e abbiamo passeggiato con tranquillità fra le palme e i sicomori, per non parlare dei bellissimi fiori multicolori e gli ibiscus rossi. Non ho usato la parola "calma" più sopra, perchè, in effetti, il giro è durato come al solito troppo poco, e il ritmo frenetico del viaggio organizzato ci ha comunque strappato un po' della magia che avremmo potuto assorbire da un luogo simile, dove abbiamo potuto osservare specie di animali rari da vedere nel nostro Paese, come le upupe o gli aironi, che se ne andavano tranquillamente a spasso per il giardino, incuranti dei turisti.
Noi e pochi altri non facciamo la visita al villaggio nubiano, così Yasser ci scorta fino alla nostra feluca, la quale ci conduce placidamente di nuovo alla Queen Isis. Siamo in sei o sette sulla barca, sono circa le sei del pomeriggio, forse poco più tardi, e stiamo tutti in silenzio, a goderci il panorama. Per la prima volta c'è il rilassamento, la mente si svuota dal pensiero degli impegni, degli orari da rispettare, della preoccupazione di trovare e seguire il tuo gruppo per non perderci, ed è così che dai miei occhi sgorgano alcune lacrimucce di commozione. È la prima volta che ho veramente il tempo di isolarmi e di stare a pensare a dove mi trovo, che posso ammirare il paesaggio cullata dalle acque del Nilo e ripetermi "mio Dio, è bellissimo" nel contemplare il riverbero del sole d'oro sull'acqua, la montagna color ocra punteggiata dalle tombe dei governatori di Elefantina, il cielo turchese che sembra non aver mai conosciuto una nuvola. Su quella barca a vela ho sperimentato qualcosa che molti viaggiatori hanno raccontato dopo essere stati in questo Paese; dicevano che "l'Egitto ti entra sotto la pelle". Io lo avevo da tempo sotto la mia pelle, ma una volta essere stata là, ha raggiunto completamente il mio cuore.

CIAO CIAO QUEEN ISIS

Dedico un piccolo trafiletto alle nostre peripezzie sulla nave, perchè questa ultimissima parte della crociera è stata estenuante, ma anche immensamente divertente.
Non nascondo a chi legge che già dalla sera del giovedì ho tormentato i miei compagni di viaggio con la mia euforia al pensiero che poche ore dopo saremmo finalmente giunti ad una delle due mete che più desideravo raggiungere all'interno del nostro itinerario nel paese dei faraoni, ossia Abu Simbel. Non sto a raccontare quanto sono stata pedante, ripetendolo ogni cinque minuti, vi lascio immaginare. Non stavo nella pelle. Ad ogni modo, il pomeriggio, al ritorno dal Giardino Botanico, siamo stati in piscina sulla nave, finalmente, dopo tanti giorni, non eravamo ancora riusciti a fare un bagnetto. Nonostante faccesse caldo, non ho idea di quanti gradi ci fossero, sicuramente più di 35 intorno alle sette di sera, all'ombra abbamo avuto un po' di freschino, ma è stato impagabile vedere il tramonto dal ponte sole della Queen Isis, ormeggiata assieme ad altre centinaia di motonavi. Il tramonto egiziano non somiglia per nulla al nostro, in cui puoi stare là a guardarlo per molti minuti. No, il sole e l'orizzonte rimangono d'oro, il cielo si tinge di colori madreperlacei, e all'improvviso è il crepuscolo. È un momento raro e fugace, romantico e malinconico.
Quando il frescolino accentuato dal nostro costume umido ci aggredisce la pelle, torniamo in cabina. Ci sono da fare le valigie, si lascia la nave fra poche ore, e noi dovremmo alzarci intorno all'una di notte per riuscire a vestirci ed essere pronti in tempo.
Spendo alcune parole per il personale di bordo. È davvero bello arrivare in un Paese straniero ed essere accolti così bene. Non mi riferisco solo al fatto che sono gentili perchè è il loro lavoro, perchè noi paghiamo e devono esserlo. Loro lo sono. Basta guardare il loro sorriso, come scherzano con te o giocano, la loro simpatia. Questo non l'abbiamo notato solo sulla nave, ma anche nel personale dell'aeroporto di Luxor, in quello dell'Air Cairo, e in generale un po' dovunque per la strada.
Abbiamo mangiato benissimo. Ok, la pasta spesso era scotta o insipida, ma personalmente ne ho fatto ben volentieri a meno per quei cinque giorni, e mi sono data al riso che, in tutte le sue varianti, era delizioso, così come il pesce, i fritti misti e le verdure cotte. I dolci erano da diabete puro, infatti ne davamo solo un assaggino. Ho anche gustato una sorta di spezzatino di carne molto sottile, piccante e speziato, condito con una salsa e cipolle, non ho idea di come si chiami, ma era la fine del mondo!
La sera abbiamo resistito al sonno fino circa alle undici, e poi ci siamo concessi un po' di riposo in cabina. Le nostre valigie erano pronte, ormai mancavano solo gli ultimi oggetti da riporre. Nonostante l'eccitazione, devo dire, sono riuscita a dormire molto bene.
Ma ecco che la nostra sveglia ci avverte che è ora di saltare giù dal letto...

TO BE CONTINUED...

Il mio viaggio in Egitto - Seconda Giornata

Con un po' di ritardo, continuo a postare il mio resoconto di viaggio. Ho una correzione da fare su quanto scrissi dulla Valle delle Regine. Mi sono resaconto di aver frainteso ciò che Yasser voleva dirci quando ci disse che Ramses II innaugurò la Valle come sepoltura per le regine, in effetti è vero. In realtà, la valle era stata usata come sepoltura contemporaneamente alla stessa Valle dei Re, ma precedentemente era utilizzata soprattutto per le consorti secondarie e per i principi. Con la costruzione della celeberrima Tomba di Nefertari, la Valle delle Regine fu appunto eletta a luogo di sepoltura per le mogli principali dei faraoni. Il fraintendimento stava nel mio errato pensiero che Yasser intedesse dire che la valle delle regine era intonsa quando fu scavata la Tomba di Nefertari. Chiedo venia! :)

12 maggio

TEMPIO DI HORUS - EDFU


Ci svegliamo molto presto dopo la navigazione piacevolissima della serata precedente. Siamo a metà strada fra Luxor ed Assuan, e qui sorge il tempio di Edfu, unica meta di tutti i turisti di tutte le motonavi in crociera sul Nilo... Potete immaginare quanta gente affollava il tempio fin dalle prime ore!
Le rovine di questo luogo sacro sono davvero affascinanti con la luce giallo intenso dell'alba.
Il tempio è dedicato ad Horus e fu costruito in epoca Tolemaica, forse è questa una delle ragioni principali per le quali l'edificio si è conservato praticamente intatto! È infatti il tempio più completo che possiamo trovare in Egitto.
Subito vengo colpita dalle dimensioni dei rilievi, ma il mio gusto personale è maggiormente attratto dalle figure affusolate ed eteree dell'epoca faraonica, perciò i rilievi più tozzi, con figure di dee con forme molto marcate mi dà una sensazione sì di bellezza, ma in parte di "imitazione dell'antico".
La nostra visita si articola nei vari ambienti del tempio, che possiede ancora magnificamente i soffitti, seppure anneriti dai primi arabi, che solevano accendere fuochi dentro l'edificio quando lo usavano come riparo, ed era ancora per metà ricoperto dalla sabbia.
Dentro si fatica a camminare per via del sovraffollamento, e a volte si fatica anche a sentire, ma qui finalmente capisco una cosa molto importante e che fino a quel momento mi era sempre sfuggita: come si distingue Hathor da Iside, quando hanno la stessa corona con disco solare e corna vaccine? Ce lo dice Yasser: basta guardare i geroglifici accanto, per Iside abbiamo l'indicazione del suo nome col trono, mentre per Hathor è sempre presente il simbolo di Horus nella casa. Se non è presente nessuna di queste due iconografie, la dea raffigurata è Mut, che viene spesso rappresentata similmente.
Veniamo condotti fino al naos, dove a fatica riusciamo a scattare una foto alla barca sacra che c'è dentro, purtroppo una riproduzione dell'originale che si trova in un museo europeo.
Facciamo al fila anche per scattarci una foto accanto alla pregevole statua del dio Horus in forma di falco nel cortile a cielo aperto, quindi un po' di tempo libero per girare tutti gli angolini remoti del sito archeologico, e poi via di nuovo sulla Queen Isis che parte verso Kom Ombo.

TEMPIO DI KOM OMBO


Il panorama di questa regione è davvero divino. Passiamo fra isole verdissime in mezzo al Nilo, i palmeti si moltiplicano davanti alla vista, e il sole è stupendamente temperato e dolce anche nelle ore più calde del primo pomeriggio. Poco prima dell'arrivo a Kom Ombo siamo tutti sui due ponti della nave per contemplare con ammirazione la bellezza del Paese degli dèi. C'è musica in sottofondo, ed è troppo bello. Uno dei momenti più rilassanti e piacevoli del viaggio!
Intorno alle sei e mezza, arriviamo a Kom Ombo, dove c'è un grande imbarcadero per le navi da crociera, un bar davvero grazioso e numerose bancarelle che vendono soprattutto abiti.
Il tempio di Kom Ombo, altra costruzione del periodo Tolemaico, è un poco più maltrattato dal tempo in confronto al tempio di Edfu, ma la sua grazia, secondo il mio gusto personale, è maggiore del primo. L'edificio fu dedicato a due divinità, Horus e Sobek. Qui ci sono colonne tronche con bellissimi affreschi ben conservati; i colori sono meravigliosi e forti, accarezzati da un sole pomeridiano a tratti arancio che rende tutto ramato. Fa anche abbastanza caldo, ma la visita è piacevole e un poco meno affollata, perciò non ci pensiamo.
Yasser ci porta a vedere il calendario scolpito su una delle pareti, e ci spiega anche come leggerlo! Il disco solare con un tratto sotto indica il giorno, il sistema numerico con tratti e archetti rovesciati ci indica di quale giorno stiamo parlando e a seguire in riga i geroglifici che rappresentano le tre stagioni. Proseguendo troviamo le incisioni che ci parlano della tradizione medica egizia, con un elenco di strumenti chirurgici e da dentisti che Yasser ci spiega uno ad uno.
Infine giungiamo al Nilometro, che si trova in uno spiazzo sgombro proprio ridosso al tempio. Si tratta di un pozzo profondo, dotoato di scale, che serviva a misurare la portata della piena annuale. L'esemplare più antico si trova in quel di Assuan, nell'isola di Elefantina, ma è a scala dritta discendente fino al fiume, i cui muri sono dotati di un sistema di tacche che permette di calcolare l'altezza delle acque.
Ci fermiamo i consueti quaranta minuti per fare le nostre foto. Abbiamo l'appuntamento direttamente alla nave, ma quando usciamo da sito archeologico ci fermiamo a comperare una camicia per mio fratello, visto che la sera di domani ci aspetta la serata egiziana, quindi perdiamo un po' di tempo a trattare. Quando è il momento di correre alla nave, ops! Ci sono centinaia di navi, tutte simili, e tutte ancorate una dietro l'altra! Ci disperiamo, chiedendo in giro dove sia la Queen Isis. Fortunatamente le comunicazioni all'imbarco sono stupefacenti; c'è un uomo ad ogni rampa di scale, e si urlano il nome della nostra nave e del nostro Tour Operator, così ci rindirizzano nel punto giusto, e Yasser ci viene a recuperare subito! Fiuuu, che avventura!!

giovedì 7 ottobre 2010

Annale dell'anno III - la scoperta del pozzo ad Akuyati (Nubia)

Affasciante resoconto dai testi egizi degli annali reali che racconta come, per riuscire ad estrarre l'oro della regione da destinare ai templi, Ramses II scoprì un pozzo nei deserti dello Uadi Allaki, in Nubia. La traduzione è tratta dal libro "Pharaon Triumphant" di Kenneth Kitchen. Le parti fra parentesi quadre sono titoli e arricchimenti testuali glissati per evitare di perdere il filo della narrazione, mentre fra parentesi tonde sono state riempite le lacune testuali.

Anno III, 1° mese dell'inverno, 4° giorno (dicembre del 1277 a.C.) [...] sotto la Maestà di Ramses [...]. Ora, un giorno, accadde che Sua Maestà era seduto sul trono di elettro, portando il diadema ad alte piume. (Egli stava) pensando al deserto ove si può ottenere l'oro e meditava piani per scavare pozzi lungo le vie rese difficili dalla (mancanza di) acqua, secondo il seguente rapporto (che gli era pervenuto): "C'è molto oro nel deserto di Akuyati, ma la strada è difficile per l'acqua. Pochi cercatori di miniere d'oro sono andati là e solo la metà ha raggiunto la meta, perchè sono morti di sete per la via, loro e gli asini che li precedevano. È impossibile provvedere alla loro necessità di bere, andando e tornando, con otri d'acqua. Perciò da quella terra non è mai stato portato oro, per la mancanza d'acqua". Disse allora Sua Maestà al portasigillo che gli stava accanto: "Ora convoca i grandi della corte, in modo che la Mia Maestà possa discutere con loro riguardo a questa terra. Mi occuperò personalmente della cosa!"Essi vennero immediatamente introdotti alla presenza del dio perfetto [...] pieni di giubilo, rendendogli omaggio [...]. Il re parlò con loro riguardo alla natura di quella regione, discutendo con loro di ciò e di come aprire un pozzo sulla strada.Essi dissero a Sua Maestà: "Tu sei come Ra in tutto ciò che hai fatto; qualunque cosa il tuo cuore desidera, essa avviene. Se durante la notte hai un desiderio, all'alba esso si realizza! Se dici all'acqua 'Esci dalla montagna!' immediatamente un flusso sgorga alle tue parole, poichè tu sei Ra in persona, il sole sorgente nella sua vera forma. [...] Per quanto riguarda la terra di Akuyati, questo è ciò che è stato detto riguardo ad essa: 'Rapporto del vicerè della Nubia alla Ta Maestà: È sempre stata in difficoltà per l'acqua, dal tempo del Dio; là la gente muore di sete. I sovrani precedenti desideravano aprirvi un pozzo, ma non vi riuscirono. Anche il re Sethi lo tentò (il padre di Ramses). Al suo tempo, egli fece scavare un pozzo profondo 120 cubiti (60 metri circa). Fu lasciato incompiuto, perchè non vi appariva acqua. Ma certo, se tu dirai a tuo padre il dio Nilo [...] 'Fai sgorgare l'acqua dalla montagna!' egli farà secondo quanto tu hai chiesto [...]".Disse Sua Maestà a questi nobili: "È vero, è vero quello che avete detto, amici miei! L'acqua non è mai stata trovata in quella zona, dal tempo del Dio, come voi dite. Ma io aprirò un pozzo che darà acqua ogni giorno (come in Egitto) su ordine del padre Amon [...] E degli dei falchi signori della Nubia [...]". I grandi lodarono il loro signore e gli resero omaggio.Disse allora Sua Maestà al capo degli scribi reali: "(manda una lettera così al vicerè della Nubia: 'Manderai degli esploratori) a metà strada per Akuyati e lascerai passare un mese, poi invierai (istruzioni) a questi lavoratori dicendo così: [la parte con le istruzioni è perduta]'".(Così il capo degli scribi mandò la lettera e il vicerè) agì secondo gli ordini ricevuti. Quando egli spedì gli uomini (a scavare, i) Nubiani e (altri dissero): "Cosa sta facendo il vicerè? L'acqua si trova (davvero là? La parola) di Sua Maestà si realizzerà veramente e farà apparire l'acqua sulla strada di Akuyati? Non è mai stata fatta una cosa simile dal tempo degli antichi re!".Poi giunse qualcuno con una lettera del vicerè della Nubia (che diceva così): "O sovrano mio signore, tutto si è svolto come la Tua Maestà aveva detto con la sua bocca! L'acqua è comparsa nel pozzo a 12 cubiti [circa 6 metri], con 4 cubiti di profondità (d'acqua) [...]. È sgorgata, come se un dio l'avesse fatto, soddisfatto per la tua devozione! Mai era accaduta una cosa simile (prima) [...]. Il capo di Akuyati è immensamente felice. Quelli che abitavano lontano (meravigliati [...] vennero a) vedere il pozzo creato dal Sovrano: le acque stesse dell'Aldilà lo hanno ascoltato, mentre egli scavava l'acqua nella (montagna! [...]". Questo lesse il capo degli scribi, comunicato dal vicerè. Allora la corte fu deliziata [...] (essi dissero: Tu sei davvero Thot in persona), efficace in buoni consigli per essere istruiti; tutto ciò che dici (certamente accade! [...])". (Ora, il nome di) questo pozzo sarà "Il Pozzo, Ramses II è valoroso di (gesta?)".

I capelli rossi di Ramses

Paragrafo tratto dal libro "Ramsete II, figlio del sole" (1996) di Christiane Desroches Noblecourt, che è stata Conservatore Capo della sezione egizia del Louvre, organizzando nel 1976 una memorabile esposizione su Ramses II e curando personalmente il trasferimento della mummia in Francia per il periodo di cura a cui fu sottoposta.

Rivolgiamo ora l'attenzione alle ricerche condotte sulla splendida capigliatura del re, ancora morbida e setosa, che dopo essere stata delicatamente spazzolata riprese l'aspetto naturale con larghe onde inanellate. Subito dopo aver tolto le bende (1° giugno 1896 n.d.t.), Maspero aveva constatato che i capelli del sovrano, divenuti bianchi, erano stati tinti con l'hennè e questo resta un fatto incontestabile. Un altro motivo sembra sia all'origine della pigmentazione rossastra che esiste ancora sui capelli alla base del cranio: forse era quello il loro colore naturale, che in quel punto resiste più a lungo. Nel caso che il glorioso faraone presentasse davvero una chioma rossa (forse ereditata dai suoi progenitori), questa scoperta sarebbe di eccezionale interesse. Nell'antico Egitto quelli che sfortunatamente erano dotati di questa caratteristica, con i peli del colore delle sabbie sterili e dei fulvi animali del deserto, erano considerati esseri diabolici, esseri "tifoniani" sacri al Tifone degli antichi, il dio Seth. Erano chiamati con disprezzo "forme rosse". Nel famoso Libro dei Sogni, i loro erano analizzati in un capitolo speciale, come sogni dei compagni di Seth. Così, all'inizio della XIX dinastia, due faraoni ricevettero il nome di Sethi (tra cui il padre di Ramses n.d.t.), ossia quello di Seth. Va ricordato che Ramses II si attribuiva la forma divina del dio, dal quale dichiarava discendenti i suoi antenati. Arrivò persino ad associarlo a Baal degli asiatici. E si noti che nel mito solare, Seth appare non solo come l'immagine della perturbazione necessaria allo svolgersi delle stagioni, all'equilibrio delle forze cosmiche, ma, soprattutto, come l'alleato dell'astro, nella cui barca sale per meglio difenderlo dal Maligno. In realtà il demonio, il solo che sia veramente riconosciuto come spirito del male, non è Seth ma Apophis, il pericoloso serpente. E allora (Seth) non è soltanto un male necessario, il Caino, il Caliban, ma si pone come l'aspetto dinamico del divino, che riversa i suoi benefici sull'Egitto.

Ci si consenta una piccola anticipazione sull'ulteriore svolgersi della sua storia. Tenendo presenti le conclusioni dei tredici specialisti che hanno ritenuto di poter confermare con quasi totale sicurezza che Ramses avesse per natura i capelli rossi, si riconosce subito l'importanza di questa inattesa rivelazione, che illumina le scelte e l'atteggiamento talvolta provocatorio del re. Valorizzare una particolarità fisica che avrebbe potuto distruggere un altro più debole di lui, mutare un aspetto nefasto in strumento di successo, quale vittoria! Lungi dal tentare di mascherare ciò che in altre epoche (evidentemente nel Nuovo Regno il disprezzo era andato scemando in semplice superstizione n.d.t) sarebbe stato un grave handicap, Ramses convinse il popolo a vedere in quella chioma fiammeggiante la prova della sua origine sethiana, espressione divina presentata come benefattrice dei suoi padri!

Evitando di chiarirlo espressamente nei testi, Ramses manovrò in modo che la sua fulva chioma apparisse come una benedizione speciale, elargita da Seth, una delle emanazioni necessarie del sole.