giovedì 18 novembre 2010

Il mio viaggio in Egitto - Quarta Giornata

14 maggio

ABU SIMBEL


È l'una del mattino, e le nostre facce la dicono lunga su come avremmo avuto bisogno di dormire ancora un po'. Ma ci aspetta un lungo viaggio in bus, perciò, ci diciamo, ci sarà tempo per riposare ancora. Le nostre valigie vengono portate al nostro mezzo e una volta radunati, salutiamo il personale della nave e partiamo.
Yasser ci aveva spiegato che il luogo dove si trovano oggi i templi di Abu Simbel è una zona militare, al confine col Sudan, e che perciò il nostro bus si dovrà trovare ad una adunata con tutti gli altri bus turistici che devono raggiungere il sito, in modo che la polizia possa scortarci fino là.
È una notte davvero surreale. Sul bus, la maggior parte dei nostri compagni dorme. Dormono un po' anche la mia amica e mio fratello, mentre io davvero non riesco. Mi sento sveglia, pimpante, un po' mi tremano le gambe, e sono decisamente elettrizzata.
Il nostro bus, con le luci interne spente, attraversa assieme ad una lunga coda di suoi simili la zona di Assuan, fino ad uscirne per inoltrarsi nel deserto. E qui, grazie alla fortuna che ho avuto di essere seduta accanto al finestrino, ho l'occasione di ammirare uno degli spettacoli più belli e indelebili della mia vita; il cielo notturno nel deserto. Attorno è tutto buio, i fari del bus illuminano appena le montagnole di roccia e le dune, e sopra la nostra testa c'è un vero e proprio mare di stelle talmente grandi e luminose da lasciare a bocca aperta. Non avevo mai visto, dalla città, un cielo simile, nel quale è possibile scorgere ogni più piccola stella accanto alle sue simili come uno spruzzo argenteo, dove si possono distinguere chiaramente le costellazioni, il Grande Carro, eccetera... Da togliere il fiato. Ora capisco come mai gli egizi credevano che le stelle fossero le anime dei resuscitati!
Il nostro viaggio dura tre ore o poco più. Attorno alle cinque e mezza comincia a levarsi il sole, e da qui, il secondo spettacolo più bello, ossia l'alba nel deserto, qualcosa di sublime e indimenticabile, che ci accompagna nell'ultimo tratto, coi suoi colori rosei e dorati. Riusciamo a scattare qualche fotografia, e adesso tutti sono svegli, e guardano fuori ammutoliti e ammirati. Con le prime luci, ammiriamo la cittadina odierna di Abu Simbel, una contrada ancora deserta per via dell'ora acerba, con numerosi punti di ritrovo, ovviamente turistici, come bar e tavole calde. La maggior parte di questi luoghi ha i nomi delle persone della famiglia di Ramses: c'è il Bar Queen Tuya, e persino il Cafè Nefertari!
Scendiamo dal bus, e l'aria è fresca e il clima bellissimo; attendiamo un po' per entrare nel sito, il quale, contrariamente agli altri, non si vede dall'ingresso, perchè dista un bel po' dal punto di accesso all'area archeologica, nella quale c'è il bar e tutti i negozi di suovenirs.
Ci fermiamo a parlare con Yasser. Diego, uno dei nostri compagni di viaggio che ha stretto un rapporto quasi d'amicizia con la nostra guida, sta facendo delle battute sulla durata del viaggio in bus. "Yasser, ma 'sto tempio lo hanno smontato da dove era prima, vero?". Yasser annuisce. "Ecco, già che c'erano, potevano rimontarlo al Cairo, tanto è lì che stiamo andando, così ci evitavano tutta questa strada!". Yasser ride, poi lo guarda con espressione furba, "Diego, credimi, Abu Simbel vale non una, ma tre volte tutta questa strada".
E anche se non l'ho ancora davanti dal vivo, io so perfettamente che ha ragione.
Finalmente, abbiamo il nostro biglietto, e possiamo entrare. Yasser ci avvisa di tenere il passo, perchè la camminata è lunga. Seguiamo un sentiero bianco, che si dirige in mezzo all'area desertica color ocra rossa, leggermente in salita. Durante questa strada, ogni tanto faccio dei video, sperando sempre di veder comparire all'improvviso i templi, ma era counque sempre troppo presto, perciò ci facciamo tante risate. Quando infine arriviamo, capisco che questo percorso è studiato alla perfezione per rendere più spettacolare la prima visione dei templi stessi, soprattutto del tempio maggiore, perchè compare dal nulla, si vede la montagna rossa, ma di lato, e man mano che il sentiero gira, ecco apparire la facciata, e sui volti di tutti compare quel tipico sorriso tra il meravigliato e il divertito, che sembra dire "oh accidenti".
Subito scattiamo le prime foto e facciamo dei brevi video.
Alla nostra sinistra c'è il tempio grande in tutta la sua avvincente maestosità, mentre in lontananza a destra si scorge il tempio piccolo. I gruppi di turisti già si radunano in capannelli per ascoltare la spiegazione della rispettiva guida, e anche noi facciamo lo stesso, fermandoci a svariati metri di fronte al tempio grende, dove Yasser ci racconta tutta la storia dei due monumenti, aiutandosi con fotografie dell'interno, in modo da illustrarci tutte le scene che vedremo quando ci lascerà vagare soli per il sito. Infatti, dentro i due templi è vietato scattare fotografie, esattamente come dentro le tombe della Valle dei Re.
Alla fine della spiegazione, Yasser ci comunica che abbiamo a mala pena un'ora e mezza per visitare i due templi, perchè alla fine di questa visita ci aspetta l'aereo per Il Cairo, e non possiamo permetterci di far tardi. Che paradosso, tre ore e mezza di viaggio e solo poco più di un'ora per goderci questa meraviglia assoluta dell'arte e dell'achitettura egizia! Questa è la prima volta che mi arrabbio da quando sono in Egitto, e mi piglia anche una fretta smodata; farò in tempo a vedere ogni angolo di questo posto e a ricordarmelo in futuro?
Foto di gruppo davanti alla facciata, e poi via per conto nostro.

IL TEMPIO GRANDE


In pochi momenti dobbiamo decidere come organizzare la nostra personale visita.
Ci dedichiamo per prima cosa al tempio grande. Essere tra le due gigantesche statue di Ramses scolpite nella pietra che fiancheggiano l'ingresso è mozzafiato. Puoi solo tirar su la testa e fare delle fotografie, anche se sai non renderanno mai l'idea di ciò che significa vederlo coi propri occhi.
All'interno non è possibile fotografare, perchè i flash possono a lungo andare deteriorare gli splendidi affreschi colorati di cui entrambi i templi sono completamente ornati.
Sono circa le sette del mattino, e la luce penetra fiocamente dal portale d'ingresso, lasciando gli ambienti in una penombra progressiva che si acutizza man mano che si va verso l'interno del tempio rupestre, il cui naos è illuminato da luci a neon giallastre.
Per riuscire a non perderci un particolare delle bellissime scene scolpite a bassorilievo sulla roccia e colorate in bianco, nero, giallo, blu e rosso, facciamo il giro del primo atrio in senso orario, fiancheggiando le pareti. Qui è la prima volta che ci fermiamo meravigliati. Ho visto molte volte questo rilievo nei tanti libri di egittologia che possiedo, ma l'impatto visivo che dà dal vivo è qualcosa di eccezionale. La scena mostra Ramses che, con una lancia in mano, abbatte un nemico e ne calpesta un altro sotto i suoi piedi; l'opera d'arte è enorme come non l'avrei immaginata, dinamica come una fotografia, e occupa il registro centrale di questa parete altissima. Sembrerà sciocco dire ancora di essere rimasti senza fiato, ma a costo di essere ripetitiva, è esattamente questa la sensazione che si prova. Ogni scena, ma soprattutto questa, sembra essere stata intrappolata nella roccia mentre era in svolgimento, quasi fosse viva e in perpetua esecuzione. La figura del re, sia qui che nelle altre immagini, è armoniosa e potente, e riesce ad incutere rispetto e grazia allo stesso tempo.
Continuiamo il nostro giro del primo atrio, e ammiriamo le scene d'offerta agli dèi; in molte di esse Ramses è accompagnato da Nefertari, la quale, dietro di lui, compie gesti rituali o protende la mano in direzione del marito in segno di protezione. Mi dedicherò tra poco a spendere alcune parole per il gusto artistico che permea la raffigurazione della regina.
Nella parete di destra, mi fermo. Ricordo che pochi dei visitatori dentro il tempio si soffermano da questa parte, forse perchè i rilievi sono fitti e caotici e in parte il colore è andato perduto, ma credo soprattutto perchè in pochi sanno cosa rappresentano. Anche mio fratello si accosta per chiedermi conferma e sì, questa è la raffigurazione che accompagna nei templi tebani il Poema di Pentaur, ossia il resonconto dettagliato ed epico della Battaglia di Qadesh. Ogni scena rappresenta un atto dello scontro fra l'esercito di Ramses e quello di Mowattali, re degli ittiti, avvenuto nel 5° anno del regno del faraone (1274 a.C.). Ad uno sguardo attento e consapevole, questa intera parete a più registri è come la pellicola di un film che si srotola davanti agli occhi dei visitatori; ogni rilievo è accompagnato da una didascalia che illustra cosa succede, come in un fumetto. Di alcuni personaggi c'è addirittura l'indicazione delle parole che sono state da loro pronunciate, esattamente come in un manga giapponese. I particolari che ho meglio distinto in questo quadro storico memorabile inciso per sempre nella roccia sono le due spie catturate dall'esercito egiziano, le quali fornirono errate informazioni sulla posizione dell'esercito ittita, rischiando di far perdere la battaglia agli egiziani, la raffigurazione della cittadella fortificata di Qadesh, circondata dal fiume Oronte, caposaldo ittita, la tenda di Ramses dentro l'accampamento egizio circondato da scudi, e nel quale i soldati sono intenti alle attività quotidiane mentre parte l'attacco ittita a sorpresa. E poi i soldati egizi in schieramento, la guardia reale sharder (antichi sardi) coi loro caratteristici elmi, l'indicazione del numero di soldati per ogni armata, compreso l'esercito nemico. Infine lo scontro, col caotico miscuglio di carri e persone rovesciate nel fiume, e Ramses in piedi sul carro mentre, solitario, scaglia frecce contro gli ittiti. Questo rilievo riscuote poco successo agli occhi di un turista comune, al contrario della bellezza e del valore artisitco dell'opera che la fronteggia nella parete opposta, ma ha un valore incommensurabile dal punto di vista storico e letterario, consegnandoci uno spaccato di vissuto che non ha eguali nella storia antica. Non per niente, la Battaglia di Qadesh è lo scontro antico più documentato al mondo.
Al termine del primo giro, entriamo nei magazzini laterali di sinistra. Si tratta di due stanze oblunghe, atte a contenere le offerte per il tempio. Lo dimostrano le scene parietali con tavole imbandite di cibo offerto alla divinità e gli altari che corrono tutto attorno alle pareti, come uno zoccolo. All'uscita si ha quasi difficoltà ad orientarsi, finchè non ci si ritrova nel primo atrio e da lì entriamo nei magazzini di destra, che scopriamo essere esattamente identici e speculari a quelli dell'altro lato.
Prendiamo così l'ingresso centrale e ci trovaiamo nel secondo atrio, retto da quattro pilastri quadrangolari, sui quali il faraone viene benedetto e abbracciato da varie divinità. Rifacciamo il giro in senso orario, e scopriamo che la sala è dedicata alle offerte che il faraone compie nei rilievi alle divinità dell'Egitto. Sulla parete destra c'è la barca sacra di Amon che è portata in processione dai sacerdoti, finchè giunge di fronte a Ramses e Nefertari; lui gli offre incenso su di un bruciatore, lei scuote i sistri in segno di benedizione. Anche questa scena è molto vivida, mentre il bianco puro dello sfondo dipinto, conservato decisamente meglio che nella precedente sala, esalta le figure in bassorilievo.
Ci soffermiamo poco nel vestibolo, anch'esso ornato da scene di offerta e comunione con gli dèi, e quindi stazioniamo davanti al naos, una piccola stanza chiusa da una transenna, nella quale sono scolpite quasi a grandezza naturale le figure di Ra-Harakti, Ramses, Amon e Ptah-Taten, tutti seduti l'uno accanto all'altro. Qui, ogni anno per due volte, si ripete il fenomeno per cui al sorgere del sole, i raggi penetrano dalla porta del tempio, attraversano tutta la lunghezza e arrivano ad illuminare il volto della statua del re seduto fra gli dèi. Gli egiziani odierni chiamano questo spettacolo, che si ripete nonostante l'innalzamento dei templi a causa del salvataggio, "la festa del sole". Yasser ci racconta che in questi due giorni, a settembre e a febbraio (verosimilmente anniversari di incoronazione e compleanno di Ramses) è festa ad Abu Simbel. L'aeroporto è chiuso, nessuno lavora, ma la gente arriva due giorni prima ed è permesso accamparsi coi sacchi a pelo davanti ai templi per aspettare l'alba del giorno della festa e godere di uno spettacolo di ingenieria e calcolo astronomico e architettonico davvero unico al mondo.

IL TEMPIO PICCOLO

Uno sguardo all'orologio con un pizzico d'ansia. Purtroppo dobbiamo uscire dal tempio grande se non vogliamo rischiare di mancare la visita a quello piccolo!
Attraversiamo l'ampio spiazzo che li separa a passo svelto, e finalmente eccoci di fronte alla facciata per qualche foto. Anche qui è vietato fotografare all'interno, così ci scateniamo un po' fuori, senza però perderci la meraviglia di quest'altra opera d'arte. Il primo impatto che si ha del tempio piccolo è veramente differente da quello che si ha nel contemplare quello grande, e questo è innegabile. Personalmente ho percepito il tempio grande come monumentale e imponente, atto a mostrare alla Nubia la potenza e la grandezza della monarchia egizia, quale era in effetti il fine della costruzione di quest'opera. Se ho parlato di "monarchia" e non di "Ramses" c'è un motivo preciso; non appartengo assolutamente alla scuola di pensiero che vuole che il re si fosse stancato di onorare gli dèi e volesse qui onorare se stesso quale dio in terra. È evidente a chiunque conosca la civiltà egizia, il periodo storico ramesside e sappia entrare nella mentalità egizia che non era questo l'intento di Ramses, così come di qualsiasi altro faraone. Per gli antichi egizi non era infatti sacro l'uomo che era faraone, ma l'istituzione faraonica (come per noi è importante la carica di Presidente della Repubblica e non l'uomo che la riveste). Se Ramses avesse voluto deificare se stesso, cosa che poi ha comunque fatto la sua diretta posterità in riferimento al suo personale successo in quanto re, e tralasciare gli altri dèi, il tempio grande non sarebbe così zeppo di scene di offerta e di comunione con essi. Inoltre, se leggiamo i geroglifici del naos, la divinità seduta fra gli dèi è "Ramses", ma scritto in caratteri semplici e non dentro cartiglio, questo per me basta a dimostrare come fosse questo un modo di indicare il faraone simbolico (essendo Ramses il nome proprio del faraone in quel momento regnante) e non User-maat-Ra scritto dentro il cartiglio, che indica invece proprio quello specifico re senza possibilità di errore, cioè Ramses II. Il nome Ramses significa inoltre "generato da Ra" ossia "figlio di Ra" epiteto proprio di qualsiasi faraone dalla V dinastia, e quindi quasi impersonale.
Fatta questa precisazione, il tempio piccolo ha un caratere totalmente diverso ai miei occhi, e penso che anche per chi ha avuto il piacere di visitarlo è stato lo stesso. È delizioso, intimo, la stessa facciata ha un carattere dolce e quasi privato. Ci sono sei statue in piedi, in posizione incedente, e sta qui l'eccezionalità: due di esse rappresentano Nefertari, della stessa statura di quella di Ramses. Una cosa simile fece più anticamente Amenofi III per la moglie in una statua monumentale che si trova ora nella sala della scultura del Museo del Cairo, e molte cappelle sono state dedicate dai faraoni alle proprie spose e regine, alcune delle quali sono anche state faraoni e si sono costruite templi (come Hatshepsut), ma mai un tempio è stato dedicato dal re alla sua sposa mentre entrambi erano in vita.
Nefertari, incoronata dalle due alte piume e dal disco solare, è presente due volte specularmente a destra e a sinistra, nel mezzo fra le due statue del marito, quasi a simboleggiare un continuo accompagnare del re nei confronti della regina. Non solo, il carattere intimo e familiare del tempio è esaltato dalla presenza di statue minori fra le gambe dei coniugi. Mentre nel tempio grande sono raffigurati in piccolo i membri della famiglia estesa del sovrano (figli di spose secondarie, oltre che Nefertari e la madre Tuya), qui nel tempio piccolo sono rappresentati con loro solo i figli di Ramses e Nefertari, a formare il nucleo familiare principale del re. Nonostante la statua che rappresenta Nefertari alla nostra sinistra sia sfigurata, quella di destra mantiene intatta tutta la dolcezza dei tratti di questa donna dalla leggendaria bellezza.
Il fatto che il tempio fosse un dono d'amore per la sposa è evidente dalla dedica incisa in geroglifici priprio su questa facciata semplice e armoniosa:
User-Maat-Ra Ramses, egli ha costruito un tempio scavato nella montagna, opera eterna per la grande sposa reale Nefertari Meritmut, nella Nubia, per sempre e in eterno. Nefertari, per amore della quale il sole splende.
Se la poesia di tali parole può passare inosservata ai più disincantati o a chi non sa leggere il geroglifico, di certo non avrà fatto lo stesso l'aspetto riservato e luminoso dell'interno del tempio.
Appena entriamo ci colpisce subito il bianco che fa sfondo alle decorazioni e che le rende ancora più eleganti e deliziose. Più tardi, scambiando pareri con la mia amica, abbiamo scoperto di aver amato entrambe molto la visita al tempio piccolo, quasi più di quella al tempio grande.
Ripensandoci, ho colto profondamente la differenza fra i due, come se il tempio grande rappresentasse la regalità, la potenza, il fasto della vita di Ramses, e quindi l'aspetto esteriore e monarchico, mentre il tempio piccolo fosse simbolo della vita privata e familiare del re e della regina, a carattere meno sensazionale e impressionante, ma affascinante sotto altri punti di vista, uno dei quali è quello religioso.
Il tempio piccolo è ovviamente dominato da Nefertari, per la quale fu costruito e decorato. La sua figura esile e slanciata è scolpita e dipinta in quasi tutte le scene, e anche quelle in cui troviamo Ramses, lei è sempre al suo fianco. La maggior parte delle scene riguarda offerte alle divinità, in particolar modo ad Hathor, dea della bellezza e dell'amore, alla quale il sito di Abu Simbel era anticamente dedicato, particolare che ci indica come forse la scelta del luogo nel quale costruire questi due "templi coniugi" non fosse casuale.
È inutile dire che la figura di Nefertari ci ha ammaliati. Sulle pareti della sala a tre navate e dei pilastri ella offre fiori, scuote i sistri, si pone a protezione dietro del marito, a volte con parrucche corte, altre lunghe, sempre con la corona ad alte piume e vestita di ampie tuniche trasparenti, è sempre elegantissima ed effimera. Mentre la si contempla, è sacrosanto chiedersi se fosse davvero splendida come l'artista abilissimo l'ha saputa riprodurre o se egli abbia fatto del suo meglio per rappresentarla con gli occhi dell'amore attraverso i quali il re la vedeva. O magari entrambe le cose, fatto sta che il risultato è stupefacente. Come per i rilievi dinamici che emanano l'energia e l'evidente forza fisica di Ramses nel tempio grande, anche qui Nefertari sembra essere stata intrappolata della roccia, impegnata nei gesti rituali della sua funzione di regina d'Egitto, per sempre. Camminando piano e gustandoci ogni rappresentazione, arriviamo nel vestibolo trasversale, e senza nemmeno rendermene conto mi trovo davanti al più bel rilievo del sito di Abu Simbel, che rivaleggia in tutto e per tutto con quello dell'abbattimento dei due nemici nel tempio grande.
Qui, Nefertari, al centro della grande raffigurazione, esile e ferma in una posa composta, si interpone fra le dee Hathor e Iside che la incoronano contemporaneamente, così come fanno Horus e Seth con Ramses su un'altra parete. Il rilievo con Nefertari e le dee è unico nel suo genere e nella storia, e assurge la regina ad altissimi onori perchè la analoga al faraone.
Oltre all'importanza di ciò che l'opera rappresenta, sconosciuta ai comuni turisti, essa colpisce ugualmente in modo impressionante chiunque vi si trovi davanti. Non sono l'unica ad essere rimasta ferma davanti alla parete, quasi ipnotizzata, dall'altissima qualità artistica del rilievo, dalla sua purezza e dal suo senso, in un modo davvero singolare.
Finito il lungo giro del tempio piccolo, e con gli occhi ancora luccicanti, scopriamo che ci restano ancora 10 minuti per fare un'altra visitina veloce al tempio grande prima di andar via. Perciò rientriamo, e io cerco di marcare ogni immagine nella mia mente. Purtroppo, è tempo di andare via... Sono davvero dispiaciuta, avrei voluto rimanere là per tutta la giornata, non si può? No, ormai anche i nostri compagni imboccano il sentiero che ci riporta fuori dal sito, e facciamo a malincuore lo stesso. Il Cairo ci aspetta!!

TO BE CONTINUED...